L’essere umano è un essere sociale e come tale vive la sua realtà quotidiana nelle relazioni. Proviamo ad immaginare quanti contatti relazionali viviamo ogni giorno e quanti scambi comunicativi mettiamo in atto con innumerevoli individui. Scambi che non sono unicamente verbali ma soprattutto non verbali. Facciamo un piccolo sforzo di memoria e andiamo a ricordare la nostra prima relazione…non quella con un partner ma quella con la nostra madre. Ecco noi siamo stati creati all’interno di una relazione, noi ci siamo formati e siamo cresciuti all’interno della pancia della nostra mamma. Questo può già farci comprendere come per noi la relazione sia assolutamente vitale e primaria per la nostra sopravvivenza. Grazie allo scambio e all’incontro con l’altro veniamo riconosciuti e amati nella nostra unicità. E sopravviviamo grazie a questi riconoscimenti (o carezze in analisi transazionale) che ci vengono dati fin dalle primissime interazioni umane. L’essere VISTO dall’altro ci consente di esistere e di dare valore e importanza a ciò che siamo e a ciò che facciamo. Ma cosa potrebbe accadere se una relazione si trasforma in qualcosa di tossico o nocivo? Come mai spesso si creano situazioni in cui due individui sperimentano malessere, dolore, rabbia o frustrazione nello stare insieme?
A volte capita di mettere in atto azioni disfunzionali inconsapevoli con l’obiettivo di ricevere questi riconoscimenti, senza accorgerci che stiamo richiedendo l’amore e l’attenzione dell’altro nel modo sbagliato: probabilmente comunichiamo all’altro una svalutazione o ci mettiamo noi in una posizione di non okness (cioè di autosvalutazione). Tutto ciò provoca tra noi e l’altro una forte distanza relazionale e a lungo andare creerà una possibile rottura della relazione stessa con conseguenti sensazioni negative e di disvalore personale.
Anche all’interno di un percorso di psicoterapia si instaura una relazione terapeutica di tipo equilibrato e paritario, in cui entrambi i soggetti si possano sentire ok (nell’okness di Berne) e il paziente possa essere accolto, ascoltato e compreso nella sua difficoltà. In questo caso la relazione terapeutica è proprio lo strumento più efficace di cura (“la cura è nella relazione” Erskine,1988), perché il terapeuta osserva direttamente le modalità disfunzionali e i meccanismi negativi che il paziente mette in atto e riesce, all’interno del setting terapeutico, a lavorare in alleanza nel qui ed ora.
Ciò può essere visto nell’ottica di acquisizione di maggior consapevolezza di se’ e occasione di apprendimento di nuove competenze relazionali decisamente più funzionali. È molto importante nella relazione sperimentare intimità, autenticità e vicinanza con l’altro e godere del benessere che tutto questo procura a noi stessi.
Sapersi relazionare non è semplice ma fa parte di noi e del nostro essere. Forse la fatica maggiore è ritrovare questa naturale competenza proprio dentro di noi!